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Copyright: © Giancarlo Pavanello

Giancarlo Pavanello

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la singlossia

Libri manoscritti e libri-oggetti in esemplare unico [in prevalenza negli anni settanta e anni ottanta, idoglossia semantica e/o pseudo-asemantica]. Le opere non in ordine cronologico.

 [1972]

All’inizio degli anni settanta, 1971-1975, prevalgono in modo definitivo le grafie enfatiche, con i testi calligrafici, una sorta di pittura a inchiostro attraverso la quale la scrittura alfabetica è avvicinata a un’impossibile somiglianza con le lingue ideografiche, come sperimentazioni verbo-visive. Tale delineazione si inquadra con un maggiore rigore terminologico e critico nelle presentazioni di Rossana Apicella: la “singlossia” [unione di linguaggi differenti], la “scrittura semantica”, la “scrittura asemantica”, la “scrittura pseudo-asemantica” [una sorta di palinsesto in cui un testo verbale viene sovrapposto a un testo verbale rendendolo incomprensibile in parte o in tutto ma in realtà nella chiarezza delle formulazioni mentali dell’autore neo-amanuense]. In aggiunta, non mancano le pagine puramente segniche, anticipando l’asemic writing degli anni novanta, un genere sconfinante con il lettrismo: la grafica e la pittura astratta soprattutto degli anni cinquanta e sessanta. Tutto questo, dalla prima mostra personale, “dall’art brut all’estetica socialista”, Venezia, 1975, in pagine raccolte in qualche fascicolo o album e soprattutto in libri rilegati in esemplare unico, in seguito rientranti nella formula dei “libri d’artista” o dei “libri-oggetto”.

 

poi, a partire dalla mostra personale “esibizione bibliografica”, Milano, 1989, anche pagine incorniciate degli anni precedenti e opere da parete in cui viene ripensata la possibilità di una scrittura maggiormente intrecciata alla dimensione pittorica

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1989

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2017

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un manifesto

 

afonologie e graffiti domestici

 

Con i "graffiti domestici" a tecnica mista e nella modalità spazio-tempo cerco di esprimere una derivazione grafico-pittorica dalla temperie del periodo storico 2000-2030, con spirito critico senza riferimenti diretti o molto alla lontana alle avanguardie del Novecento [fondamentali ma da archiviare in via definitiva], anticipata dalle mie prime due mostre personali datate 1975 e 1977: “dall’art brut all’estetica socialista” e “idoglossia semantica o pseudo-asemantica”, entrambe riassumibili nella formula della singlossia, la soluzione di linguaggi differenti, verbali e visivi, in commistione.

 

In un’epoca di transizione verso il radicamento spontaneo o perfino l’imposizione di nuove interazioni individuali e sociopolitiche, in cui traballa quanto appariva stabile, consacrato, legiferato a livello di tradizioni e di istituzioni, o subisce i dissestamenti analoghi, sul piano metaforico, ai terremoti e ai bombardamenti, non risulta più plausibile la permanenza di scrittore e di artista in una posizione di sintonia con il passato remoto e con il XX secolo. Resta, quindi, l’incognita di una ricerca tentennante, sincopata, a frammenti, in tentativi in cui i tasselli si affastellano in ipotesi operative, in insiemi più o meno eterogenei. Ecco, quindi, le tele e i cartoni a collage definiti “graffiti domestici” [alludendo alla dimensione riflessiva nel proprio studio, a uno sguardo sul mondo restando alla finestra]. Con leggerezza ironica se l’autore perviene ad autodefinirsi “uno studente di belle arti a vita”. Una sigla non tanto peregrina, comunque, nell’urgenza di un percorso di autenticità personale ed esistenziale inserito in un contesto oggettivo. L’ossessione della mancanza di punti di riferimento collaudati, come nella situazione di un passeggiatore senza meta in una metropoli ridotta in cumuli di macerie, smarrito fra i ruderi, attento a non inciampare fra i rovi dei terreni in abbandono e le porte, le travi e gli infissi di legno pieni di chiodi arrugginiti. In termini forbiti: l’angelus novus di Paul Klee e Walter Benjamin.

 

La risposta a un commento: “le tue tavole sono tutte belle, vanno viste allineate su una parete come un libro dei morti dell’antico Egitto”. Non so, forse va ridefinita e aggiornata la fase dell’estetico calligrafico anni settanta-novanta e della poesia visiva di derivazione da John Heartfield [nutrendo qualche perplessità, inoltre, sulla permanenza di maniera dell’asemic writing, costituendo il logos l’essenza dell’essere, per quanto senza un fondamento, per dirla con Martin Heidegger]. Il neologismo-nonsense stesso al plurale, “afonologie” [da afonia, da disfonia], indica la volontà di comunicare e il contrario con il prefisso privativo, la pulsione del silenzio. Quindi, non punto sulla gradevolezza immediata e ovvia dell’opera, sull’artigianato decorativo, ma sull’ansia della sperimentazione nel mettere assieme le più svariate parti contrastanti, dal disegno a-tecnico e primitivo al tracciato abbastanza tradizionale e a volte delineato in senso [quasi] accademico, fino alle tante forme della grafica e della pittura, un eclettismo delimitato fra i contenuti: i graffiti domestici - definibili sincrasie verbo-visive, sincrasie astratte e/o figurate.

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due libri-assemblaggi o due mini-installazioni o due insiemi di sculture piatte, es. 1/1

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